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Fare causa al franchisor: come, quando e perché

5 Agosto 2021/in Contratti commerciali, Franchise, News

Le reti in franchising sono spesso caratterizzate da una elevata conflittualità al loro interno, che può sfociare in un vero e proprio contenzioso. Le cause del contenzioso nel franchising sono da una parte comuni a tutti i contratti commerciali (inadempienze contrattuali), ma dall’altra specifiche del franchising, in quanto ricollegabili a caratteristiche strutturali di tale rapporto. Il contenzioso con il franchisor può presentare molti rischi per l’affiliato. Vi sono però dei casi  in cui l’affiliato può promuovere con successo un contenzioso contro il franchisor e ottenere un risarcimento dei danni. Ma è essenziale per l’affiliato rivolgersi a un legale esperto in franchising.

Indice

1.Esiste il contenzioso nel franchising?

La domanda può sembrare provocatoria, ma in realtà non lo è. In effetti, scorrendo le varie rassegne che vengono pubblicate ogni anno, attraverso vari canali (articoli cartacei, data base, blog, etc.), sembra che di contenzioso in tema di franchising non vi sia quasi traccia; le sentenze pubblicate sul franchising sono pochissime, soprattutto in proporzione dell’ampio numero di contratti di franchising in essere in Italia.

Questo potrebbe portare a ritenere, superficialmente ed erroneamente, che il contenzioso nel franchising sia molto ridotto o addirittura inesistente. Chi conosce la realtà del franchising – come chi scrive – sa bene invece che, a dispetto di quanto possa apparire all’esterno, le reti in franchising sono spesso caratterizzate da una elevata conflittualità al loro interno, che sfocia spesso in un vero e proprio contenzioso.

E allora: perché i contenziosi nel franchising non emergono?

I motivi di questa scarsa emersione all’esterno del contenzioso in materia di franchising sono a mio avviso principalmente due:

  • perché spesso i contenziosi vengono risolti in via bonaria, cioè con una transazione, prima o dopo l’inizio della causa; e tale transazione non viene ovviamente divulgata all’esterno, spesso anche per effetto di precise pattuizioni tra le parti in tal senso;
  • perché spesso sono previste nei contratti di franchising delle clausole compromissorie, che devolvono ad arbitri le controversie derivanti dal contratto; in tal caso, il lodo arbitrale (a differenza di quanto accade per la sentenza di un Giudice ordinario) non viene pubblicato (salvo che entrambe le parti lo consentano: il che accade molto raramente).

2.Da dove proviene il contenzioso nel franchising?

Sulla base della mia esperienza – accumulata (ahimé) in molti anni di consulenza “sul campo” – il contenzioso nell’ambito del franchising può essere sinteticamente suddiviso in due principali “filoni”.

Un primo filone di contenzioso – che potremmo chiamare “ordinario” – si ricollega a cause che si ritrovano anche in quasi tutti gli altri contratti d’impresa – categoria al quale anche il franchising appartiene – in quanto essenzialmente connesso ad inadempienze contrattuali, commesse dall’una o dall’altra parte (cioè dal franchisor o dal franchisee).

Sotto questo profilo, il franchising non si discosta molto dagli altri contratti commerciali, che presentano tutti, in misura diversa, un tasso di contenzioso “fisiologico”, derivante appunto dal fatto che gli obblighi contrattualmente previsti possono non essere adempiuti, in tutto o in parte, dando luogo, così, al sorgere di controversie.

Peraltro, anche questo filone “ordinario” di contenzioso presenta, al suo interno, delle peculiarità che si collegano agli obblighi specifici previsti nei contratti di franchising (e che non si ritrovano in altri contratti), come vedremo in seguito.

Ma vi è un altro filone di contenzioso nel franchising, che si differenzia notevolmente da quello che troviamo in altri contratti commerciali, in quanto connesso alle peculiari caratteristiche del franchising.

In un certo senso, possiamo dire che nel franchising vi è una conflittualità “fisiologica”, o meglio strutturale, tra franchisor e franchisee, derivante da due principali cause.

In primo luogo, con la firma del contratto di franchising si crea un vincolo molto stretto tra affiliante e affiliato, che condiziona notevolmente l’attività di quest’ultimo; in effetti, il franchisee, pur essendo giuridicamente un imprenditore autonomo, non è libero di assumere decisioni come lo è normalmente un imprenditore commerciale, in quanto il franchisor esercita un controllo molto penetrante sulla sua attività, limitandone fortemente la sua libertà di azione attraverso una serie di clausole contrattuali, quasi sempre inserite nei moduli contrattuali adottati dai franchisor.

Mi riferisco, tanto per fare degli esempi, alle clausole che impongono all’affiliato di:

  • adottare un determinato arredamento dei locali del punto vendita;
  • acquistare determinati prodotti o servizi esclusivamente dal franchisor;
  • utilizzare un particolare software gestionale fornito dal franchisor o da suoi fornitori;
  • effettuare una determinata pubblicità e/o sostenere determinati investimenti pubblicitari;
  • consentire controlli e ispezioni periodiche circa la sua attività;
  • praticare determinati prezzi di vendita al pubblico;
  • acquistare un determinato minimo di prodotti dal franchisor o dai suoi fornitori;
  • concedere la prelazione e/o acquisire il gradimento del franchisor in caso di cessione dell’attività,

etc.

Tali clausole sono, in linea generale, fisiologiche nel franchising (e dunque perfettamente legittime sotto il profilo giuridico), in quanto funzionali a permettere al franchisor di preservare tre valori assolutamente fondamentali nel franchising: l’uniformità della rete, l’immagine commerciale della rete e il know how.

Al contempo, tuttavia, le medesime clausole, in quanto fortemente restrittive della autonomia imprenditoriale del franchisee, possono essere fonte di contenzioso, che – dopo essere magari essere rimasto sotto la cenere per anni – emerge inevitabilmente non appena l’attività dell’affiliato non procede bene (ad esempio perché l’affiliato non consegue la redditività che aveva pensato di raggiungere o che gli era stata prospettata).

In secondo luogo, le esigenze e egli interessi delle parti (franchisor e franchisee), se all’inizio e durante la durata del contratto in buona parte coincidono, tendono spesso drammaticamente a divergere al momento e dopo lo scioglimento del contratto; non a caso, buona parte del contenzioso che si registra nelle reti si riferisce appunto alla fase della c.d. termination del contratto.

Pensiamo a due soli esempi (sui quali ci soffermeremo in seguito), forieri molto spesso di contenzioso:

  • una delle parti (affiliante o affiliato) intende recedere anticipatamente dal contratto (questo problema si pone in particolare quando è l’affiliato a voler recedere dal contratto senza che ciò sia previsto nel contratto stesso);
  • una volta cessato il contratto, l’affiliato intende continuare a svolgere un’attività identica o simile a quella che svolgeva nella rete in franchising, ma ciò chi è precluso da un patto di non concorrenza post-contrattuale .

In questi esempi (ma altri se ne possono fare), franchisor e franchisee, che avevano convissuto senza problemi nel vigore del contratto, si trovano improvvisamente ad avere interessi diametralmente opposti, con conseguente sorgere del contenzioso.

3.I problemi legali e le richieste degli affiliati in franchising

Durante gli oltre 20 anni di attività professionale nel franchising, sono entrato in contatto con centinaia di affiliati in franchising, che si sono rivolti al mio studio esponendomi i loro problemi, talvolta molto seri, con il proprio franchisor.

Nonostante che la casistica sia ovviamente molto ampia, nella mia ormai ricca esperienza professionale, ho potuto constatare che le motivazioni più frequenti per le quali gli affiliati cercano assistenza legale sono fondamentalmente tre:

  • mancanza di redditività nella loro attività, spesso prospettata in un business plan errato o addirittura falso;
  • inadempienze contrattuali di vario genere da parte del franchisor (qui la casistica è molto variegata: a titolo di esempio, mancata o insufficiente pubblicità, mancata o insufficiente assistenza tecnica e commerciale, mancata o insufficiente assistenza in fase di start up, mancata o insufficiente formazione, ritardi, mancanze o inesattezze nelle forniture, etc.;
  • comportamenti scorretti o anticoncorrenziali da parte del franchisor (già: talvolta è il franchisor stesso che, incredibilmente, fa concorrenza sleale ai propri affiliati, ad es. attraverso internet), etc.

Quasi sempre, gli affiliati che hanno questo tipo di problemi (spesso da tempo), chiedono due cose:

  • uscire immediatamente dal contratto(ed è la maggioranza dei casi), oppure
  • ottenere dal franchisor un risarcimento dei danni subìti.

E’ soprattutto in questo secondo caso che l’affiliato, spesso visibilmente alterato (per usare un eufemismo) è intenzionato a promuovere un contenzioso, cioè una causa, contro il franchisor. “Costi quel che costi, avvocato. Gliela voglio far vedere a quei signori ..” sono le classiche parole udite tante volte.

E spesso, l’affiliato “alterato” e bellicoso, cita ad esempio il classico amico o conoscente avvocato, magari di famiglia, che gli ha (ovviamente) consigliato di fare causa contro il “nemico-“ franchisor, garantendo invariabilmente, grandi indennizzi e zero rischi.

4.Le ragioni per cui il contenzioso spesso non è una buona soluzione per l’affiliato

La mia lunga esperienza professionale nel franchising e i tantissimi casi (e cause) trattati mi consente di affermare che, purtroppo, in molti casi (fortunatamente non sempre) il contenzioso si rivela una scelta sbagliata e perdente per l’affiliato. Talvolta, affrontare una causa contro il franchisor si rivela per l’affiliato una scelta disastrosa, che lo può esporre a (ulteriori) gravi danni, fino addirittura alla rovina economica.

Vediamo in sintesi quali sono le ragioni principali.

Anzitutto vi sono delle motivazioni generali, comuni a qualunque contenzioso.

In primo luogo, come è abbastanza noto – ma mai evidenziato a  sufficienza – in Italia le cause durano molto, moltissimo, troppo. La durata media di una causa di primo grado è intorno ai tre anni, ma facilmente si supera, anche di molto, tale durata, soprattutto in cause, come quelle in materia di franchising, dove occorre svolgere un’istruttoria più o meno articolata (testimoni, perizie etc.). E questo senza contare la possibilità che la causa venga trascinata in appello oppure in cassazione.

In questo lungo periodo di tempo, non solo l’affiliato resta in una situazione di incertezza, ma molte cose possono naturalmente accadere, sia all’affiliato stesso che al franchisor; ad esempio, può accadere che il franchisor “sparisca” cioè che la società venga liquidata: col che l’affiliato anche nel caso in cui dovesse avere successo al termine della causa, si ritroverà con il classico pugno di mosche in mano.

In secondo luogo, il contenzioso è normalmente costoso, talvolta molto costoso, per l’affiliato. Una causa in materia di franchising può facilmente comportare per l’affiliato un esborso in termini di spese legali superiore a 10.000 Euro, o anche ben maggiore. Importi che spesso l’affiliato – che già si trova in difficoltà economica a causa della situazione con il franchisor – non è in grado di sostenere.

Qualora poi – come spesso accade – nel contratto di franchising sia inserita una clausola compromissoria – che comporta la devoluzione della controversia ad arbitri, anziché al Giudice ordinario – vi è un esborso aggiuntivo per le spese dell’arbitro o ancor peggio per il collegio arbitrale, che generalmente non è inferiore a 20.000 Euro e che a seconda dei casi può essere anche ben superiore.

Già queste ragioni potrebbero (e dovrebbero) essere sufficienti a scoraggiare in molti casi l’affiliato dal fare causa. Ma vi sono poi anche delle ragioni specifiche, peculiari del franchising, ed ancor più importanti.

5.I rischi di un contenzioso contro il franchisor

Spesso, le cause promosse dagli affiliati contro il franchisor sono di esito incerto e rischiose per gli affiliati stessi.

Anche se non è possibile fare una statistica, grazie alla mia esperienza personale di oltre 20 anni nel campo del franchising posso affermare che la maggioranza (ed anzi, la grande maggioranza) della cause promosse dagli affiliati sono perse (nel senso che il Giudice dà torto all’affiliato). In questi casi, non solo gli affiliati non ottengono il ristoro che chiedevano, ma sono condannati a rimborsare le spese legali del franchisor, o addirittura a corrispondere al loro volta al franchisor importi a titolo di risarcimento danni.

Molte (troppe) volte si sono rivolti al mio studio affiliati che, increduli, avevano perso nel giudizio di primo grado (contrariamente alle “assicurazioni” del proprio legale), nella vana (ed illusoria) speranza di poter ribaltare il giudizio in appello. Cosa molto improbabile, spesso impossibile.

Vediamo in sintesi quali sono le ragioni per cui gli affiliati sono spesso perdenti nelle cause promosse contro il franchisor.

5.1. Le difficoltà di far valere un business plan

Come si è accennato, uno dei più frequenti motivi di contenzioso deriva dal fatto che l’affiliato non consegue dalla propria attività la redditività che si attendeva, o che gli era stata prospettata dal franchisor nel business plan che gli era stato consegnato prima di sottoscrivere il contratto, e che contiene – come spesso accade – dati o previsioni di fatturato non veritieri o falsi.

Orbene, in questi casi ottenere una sentenza di condanna del franchisor al risarcimento dei danni è molto difficile, in quanto:

  • il business plan, se non viene richiamato nel contratto di franchising (il che non accade mai) non è fonte di obblighi per il franchisor, e quindi non vi è responsabilità del franchisor;
  • in ogni caso, occorre dimostrare che l’affiliato è stato ingannato o tratto in errore, cioè che il franchisor ha deliberatamente tratto in inganno l’affiliato fornendogli dati falsi o erronei, e che se l’affiliato non avesse ricevuto tali dati non avrebbe mai firmato il contratto, o comunque non alla stesse condizioni; questa dimostrazione non è impossibile, ma di fatto è estremamente difficile (probatio diabolica, dicono i legali).

5.2. La difficoltà di dimostrare l’inadempienza contrattuale del franchisor

Un altro consistente filone di contenzioso nel franchising è, come si è accennato, quello legato agli inadempimenti contrattuali imputabili al franchisor.

In proposito occorre anzitutto chiarire – sembra ovvio, ma non lo è – che in tanto il franchisor ha nei confronti dell’affiliato un obbligo, in quanto tale obbligo è previsto nel contratto; se non è previsto, l’obbligo non sussiste. Ad esempio, se nel contratto di franchising non è previsto l’obbligo del franchisor di assistere l’affiliato nella fase di start up, non c’è nessun obbligo e quindi nessuna responsabilità.

Ciò premesso, statisticamente le inadempienze contrattuali più frequenti commesse dal franchisor consistono in:

  • mancata/inesatta erogazione all’affiliato di servizi contrattualmente previsti (ad esempio. assistenza start up, marketing, etc.);
  • mancata/inesatta fornitura di merce all’affiliato (ad esempio, prodotti consegnati in ritardo o non conformi a quelli ordinati dall’affiliato);
  • mancata/inadeguata erogazione della formazione all’affiliato (iniziale o continuativa);
  • violazione dell’esclusiva di territorio.

In questi casi, nonostante che nei contratti di franchising generalmente non sia prevista la risoluzione immediata e automatica del contratto (clausola risolutiva espressa, ’art. 1456 c.c.) in caso di inadempimenti del franchisor (a differenza di quanto è invece previsto per le inadempienze contrattuali del franchisee), qualora le inadempienze dl franchisor siano gravi (come ad esempio nel caso di violazione dell’esclusiva), il franchisee può comunque chiedere la risoluzione del contratto per inadempimento imputabile al franchisor (art. 1455 c.c.), oltre al risarcimento dei danni subìti.

Tuttavia, nel processo, tutto ciò che non viene dimostrato non esiste giuridicamente (con conseguente non accoglimento della domanda). Spesso, l’affiliato non dispone delle prove che servono per dimostrare gli inadempimenti del franchisor, anche perché, di solito, almeno nella fase iniziale l’affiliato tende a “sorvolare” su certe inadempienze, fiducioso che il rapporto andrà meglio o comunque perché i rapporti con il franchisor sono inizialmente buoni.

E così, spesso mancano le prove, almeno documentali (che sono le più importanti), delle inadempienze del franchisor (ad es. non vi sono mail, o quando vi sono non sono chiare, etc.). Esiste sempre la possibilità della prova testimoniale, ma spesso non vi sono testimoni, o quando vi sono non sempre si ricordano dei fatti o affermano ciò che l’affiliato vorrebbe. Senza contare che anche il franchisor può difendersi, adducendo a sua volta prove a sostegno delle sue tesi.

Occorre inoltre ricordare che, come esposto, affinché la domanda del franchisee venga accolta deve trattarsi di:

  • inadempimenti gravi del franchisor (altrimenti il Giudice non dichiarerà mai la risoluzione del contratto);
  • inadempimenti di obblighi previsti espressamente dal contratto (che di solito è molto scarno quando si tratta di obblighi del franchisor – mentre viceversa è dettagliatissimo quando si tratta degli obblighi degli affiliati).

5.3. Complessità tecniche

Spesso i contratti di franchising presuppongono la trattazione di argomenti tecnicamente complessi e delicati. Ma altrettanto spesso (anche se fortunatamente non sempre) i giudici non sono propriamente ferrati nel franchising, non ne conoscono i risvolti tecnici e le peculiarità. Il discorso è diverso per gli arbitri (ma qui subentrano problematiche legate ai costi, come si è accennato).

Questo è un grosso problema per l’affiliato, che si trova spesso a dover dimostrare (e prima di tutto, far capire al giudice) situazioni e realtà spesso complesse, e che se non vi riesce (per demerito suo – rectius del suo legale – o per incomprensione del Giudice) finisce inevitabilmente per perdere la causa.

Un esempio su tutti. Il know how costituisce, come è noto, un elemento di centrale importanza nel franchising. La L. n. 129/2004 prevede che il know-how debba avere, per essere valido, determinate e ben precise caratteristiche (segretezza, sostanzialità, individualità). Quindi in linea teorica, qualora una certa catena in franchising conceda in uso agli affiliati un know-how non dotato di tali caratteristiche (il che accade purtroppo spesso nel nostro franchising “all’italiana” ) il contratto di franchising dovrebbe essere nullo, con conseguente diritto dell’affiliato a quanto versato al franchisor (ad es. a titolo di entry fee  )e al risarcimento dei danni.

Questo in teoria. Nella pratica, molto raramente in caso di contenzioso si giunge alla dichiarazione di nullità di un contratto di franchising per inesistente o carente know-how. Perché?

Un primo motivo è che spesso i legali si “dimenticano” di evidenziare tale aspetto, o quando lo fanno non lo fanno in modo sufficientemente chiaro e convincente. Ma un secondo, più importante, motivo, è che i Giudici normalmente non hanno né la conoscenza né la sensibilità per comprendere cosa sia (o meglio cosa dovrebbe essere) sia il know-how di quella particolare rete in franchising oggetto di causa. Occorrerebbe a tal fine comprendere nel dettaglio il funzionamento e la struttura di quella rete, analizzare il manuale operativo utilizzato e i corsi di formazione erogati, magari sulla scorta di una (sacrosanta) consulenza tecnica. Ma tutto ciò non viene normalmente fatto. E chi ci rimette è sempre l’affiliato.

Si dirà: “ma tanto c’è l’appello ..”. Illusorio. La riforma del codice di procedura civile di qualche anno fa ha introdotto il c.d. “filtro” in appello, che rende, di fatto, estremamente difficile impugnare una sentenza di primo grado in quanto i motivi di appello sono ridottissimi. Senza parlare poi del fatto che le cause di appello durano spesso ancora di più di quelle di secondo grado, e sono mediamente molto costose.

Si dirà ancora: “ma eventualmente possiamo metterci d’accordo con il franchisor durante la causa..”. Certo, in teoria è sempre possibile raggiungere una transazione, cioè un accordo, in corso di causa; talvolta è il Giudice stesso che – anche per effetto di recenti modifiche procedurali – sollecita un accordo. Ma è sbagliato confidare in una transazione. Per due motivi.

  • è difficile raggiungere una transazione, perché questo implica che entrambe le parti (che si stanno litigando in causa) e i rispettivi legali (che spesso ritengono più redditizio continuare la causa) siano d’accordo, il cha accade abbastanza di rado.
  • anche se si riesce a raggiungere un accordo, esso implica inevitabilmente una rinunzia, spesso molto consistente, alle pretese dell’affiliato, altrimenti di solito il franchisor non è mai disponibile all’accordo, ben sapendo delle difficoltà che incontra l’affiliato in causa e quindi ben sapendo di avere maggiori probabilità di vincere la causa piuttosto che di perderla.

6. Quando è opportuno fare causa al franchisor

Ciò opportunamente (e doverosamente) premesso, non voglio certo affermare che il contenzioso non sia mai una buona soluzione per l’affiliato. Vi sono infatti alcuni casi – e che vi scrive ne è stato protagonista – in cui l’affiliato può (e anzi deve) promuovere un contenzioso contro il franchisor per ottenere un risarcimento dei danni (questa è infatti generalmente la domanda che viene proposta), previo annullamento/risoluzione del contratto di franchising.

Tali casi devono essere tuttavia vanno analizzati (prima di iniziare la causa) con molta attenzione dal legale, spiegando molto chiaramente all’affiliato quali sono i rischi e le reali possibilità di vittoria. Dopo di che, se l’affiliato – esaurientemente e chiaramente edotto dal suo legale, e quindi ben informato – decide di procedere, si potrà fare. In fin dei conti, è l’affiliato, e solo l’affiliato, che ha l’ultima parola.

Quali sono le ipotesi in cui è possibile e (soprattutto) opportuno (cioè proficuo per l’affiliato, sotto il profilo del rapporto costi/benefici) fare causa al franchisor?

6.1.Inottemperanza agli obblighi precontrattuali ai sensi della L. n. 129/2004

la L. n. 129/2004 prevede alcuni precisi obblighi informativi in favore degli aspiranti affiliati, che devono essere adempiuti dal franchisor prima che venga sottoscritto un contratto di franchising (o altro documento giuridicamente vincolante, come un contratto preliminare o un contratto di opzione).

La legge tutela infatti gli aspiranti affiliati – ritenuti contraenti deboli rispetto al franchisor – concedendo loro uno periodo di almeno 30 giorni prima di sottoscrivere il contratto, in modo da valutare attentamente l’affiliazione commerciale proposta, magari con l’ausilio di propri consulenti (il che accade ahimè raramente).

Se il franchisor non ottempera, o ottempera in modo non conforme a quanto previsto dalla normativa, agli obblighi informativi pre-contrattuali, si espone a responsabilità nei confronti dell’affiliato, il quale può ottenere l’annullamento del contratto con conseguente restituzione degli importi versati e/o risarcimento del danno.

6.2. Inadempimenti contrattuali del franchisor

Se il franchisor si renda inadempiente ai propri obblighi contrattuali (e quindi, ad esempio: non ha erogato la formazione prevista, non ha consegnato correttamente la merce, non ha fornito l’assistenza tecnica/commerciale, non ha rispettato la zona di esclusiva , non ha effettuato la pubblicità etc.), il franchisee può ottenere in giudizio un provvedimento favorevole di condanna al franchisor al risarcimento dei danni (previa risoluzione del contratto per inadempimento imputabile al franchisor).

Tuttavia, per ottenere questo risultato occorre che si verifichino alcuni presupposti, ovvero:

  • deve trattarsi di obblighi espressamente previsti a carico del franchisor nel contratto di franchising (su questo punto ci siamo già intrattenuti prima);
  • deve trattarsi di obblighi descritti con precisione nel contratto (e non vaghi e generici) e gravi, cioè importanti nell’economia del contratto di franchising; meglio sarebbe se questi obblighi fossero previsti in una clausola risolutiva espressa, che provoca automaticamente la risoluzione del contratto (ma questo non accade mai, non foss’altro perché il contratto è predisposto dal franchisor), altrimenti la gravità dell’inadempimento dovrà essere valutata dal giudice, con tutte le incertezze del caso. Per intenderci: la violazione dell’esclusiva, magari ripetuta, è certamente un inadempimento grave e importante; potrebbe invece non esserlo una formazione erogata per un tempo inferiore a quello previsto nel contratto o con contenuti diversi;
  • l’affiliato non deve essere a sua volta inadempiente ai propri obblighi contrattuali; spesso gli affiliati credono che, dato che il franchisor si è reso inadempiente, sono autorizzati a loro volta a non adempiere (ad esempio: il franchisor ha violato l’esclusiva, quindi non pago le fatture); questo comportamento invece è sbagliato e controproducente, perché in tal caso il giudice valuterà l’importanza dei reciproci inadempimenti, e darà ragione a chi ha commesso l’inadempimento meno importante, valutandolo discrezionalmente. Quindi, se ha intenzione di fare causa al franchisor, il franchisee deve essere perfetto nel proprio comportamento dal punto di vista contrattuale;
  • infine, occorre che l’affiliato reagisca tempestivamente agli inadempimenti del franchisor, inviando puntuali lettere o mail di contestazione e conservando tale documentazione, in modo da essere riprodotta nel giudizio. Se invece l’affiliato, come spesso accade, non reagisce, non scrive nulla o quasi, e poi magari a distanza di anni promuove un contenzioso, questo comportamento può ostacolare molto il buon esito della causa, perché il giudice potrebbe valutare tale comportamento come contrario a buona fede o dedurre che l’affiliato sia stato acquiescente, o ancora che l’inadempimento non sia grave, visto che l’affiliato non ha reagito.

 

Avv. Valerio Pandolfini

Avvocato Legale Franchisee

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Le informazioni contenute nel presente articolo hanno carattere generale e non sono da considerarsi un esame esaustivo né intendono esprimere un parere o fornire una consulenza di natura legale. Le considerazioni e opinioni di seguito riportate  non prescindono dalla necessità di ottenere pareri specifici con riguardo alle singole fattispecie descritte. Di conseguenza, il presente articolo non costituisce un(né può essere altrimenti interpretato quale) parere legale, né può in  alcun modo considerarsi come sostitutivo  di una consulenza legale specifica.

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Avv. Valerio Pandolfini
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