Emergenza Coronavirus: è possibile interrompere il pagamento del canone dei contratti di locazione e affitto d’azienda?
1. Interruzione del pagamento dei canoni di locazione
La sospensione delle attività commerciali
Come è noto, le misure adottate per il contenimento del l’epidemia da Coronavirus stanno incidendo pesantemente sulle attività di impresa, anche nel franchising. In particolare, per effetto dei DPCM dell’8, 9, 11 e 22 marzo 2020, su tutto il territorio nazionale sono tra l’altro sospese:
- le attività commerciali al dettaglio, fatta eccezione per le attività di vendita di generi alimentari, per le farmacie e parafarmacie, per i tabaccai per le edicole e per i venditori di certi generi di prima necessità;
- tutte le attività di ristorazione e bar;
- tutte le attività di palestre, centri sportivi, piscine, centri benessere, termali, culturali, sociali, creativi.
Tali misure hanno avuto e stanno avendo un impatto drammatico sugli affiliati in franchising i quali esercitano delle attività che devono necessariamente rimanere chiuse, oltre che, in misura minore ma significativa, su quelli che esercitano attività solo indirettamente impattate dai divieti, per effetto delle restrizioni alla circolazione dei clienti e delle modalità di fruizione dei locali.
La disponibilità dei locali in cui i franchisee esercitano la loro attività commerciale o industriale è per lo più acquisita attraverso la stipula di contratti di locazione commerciale o di affitto di ramo d’azienda.
E’ quindi importante verificare se è possibile, per gli affiliati in franchising che esercitano queste attività – in assenza di clausole contrattuali specifiche (peraltro rare nella prassi) – sospendere il pagamento dei canoni di affitto o di locazione, relativamente al periodo di forzata chiusura dell’attività o comunque di durata delle misure restrittive.
2.La disciplina applicabile
Occorre muovere da una sintetica ricognizione della normativa applicabile. Anzitutto, il codice civile prevede che:
- qualora, per una causa non imputabile al debitore, la prestazione diventi definitivamente impossibile, l’obbligazione si estingue (art. 1256 c.c.);
- qualora per una causa non imputabile al debitore, la prestazione diventi solo temporaneamente impossibile, il debitore, finché essa perdura, non è responsabile del ritardo nell’adempimento; anche in tal caso l’obbligazione tuttavia si estingue se l’impossibilità perdura fino a quando il debitore non può più essere ritenuto obbligato a eseguire la prestazione ovvero il creditore non ha più interesse a conseguirla (art. 1256 c.c.);
- la parte liberata per la sopravvenuta impossibilità della prestazione dovuta non può chiedere la controprestazione, e deve restituire quella che abbia già ricevuta, in base alle norme sulla ripetizione dell’indebito (art. 1463 c.c.);
- quando la prestazione di una parte è divenuta solo parzialmente impossibile, l’altra parte ha diritto a una corrispondente riduzione della prestazione da essa dovuta, e può recedere dal contratto qualora non abbia un interesse apprezzabile all’adempimento parziale (art. 1464 c.c.);
- se la prestazione di una delle parti è ancora possibile, ma è divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di eventi straordinari e imprevedibili, la parte che deve eseguire tale prestazione può domandare la risoluzione del contratto, e l’altra parte può evitarla offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto (art. 1467 c.c.).
L’art. 27, comma 8, della L. n. 392/1978 prevede che il conduttore, indipendentemente dalle previsioni contrattuali, può recedere in qualsiasi momento dal contratto di locazione, qualora ricorrano gravi motivi, con preavviso di almeno 6 mesi.
Alle norme ora menzionate si aggiungono infine due norme speciali emanate dal DL n. 18 del 17 marzo 2020 (c.d. decreto “Cura Italia”), per l’emergenza Coronavirus:
- l’art. 91 del DL n. 18/2020 prevede che il rispetto delle misure di contenimento di cui al decreto è sempre valutata ai fini dell’esclusione, ai sensi degli artt. 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti;
- l’art. 65 del DL n. 18/2020 prevede che ai soggetti esercenti l’attività d’impresa è riconosciuto, per l’anno 2020, un credito d’imposta in misura del 60% dell’ammontare del canone di locazione relativo al mese di marzo 2020, per gli immobili rientranti nella categoria catastale c/1 (negozi e botteghe).
3.Le ricadute sui contratti di affitto di azienda
Non vi è dubbio che l’epidemia e i provvedimenti volti al suo contenimento rappresentano eventi imprevedibili ed inevitabili, e dunque tali da rendere l’inadempimento impossibile e non imputabile alla parte inadempiente. Le previsioni dei DPCM costituiscono infatti un c.d. “factum principis”, ovvero un provvedimento dell’autorità che incide in modo inevitabile e radicale sulla realizzabilità dei contratti.
Per quanto concerne i contratti di affitto di ramo d’azienda – pensiamo ad esempio ai locali nell’ambito di centri commerciali – la sospensione forzosa delle attività incide direttamente, rendendola di fatto impossibile, sulla prestazione principale dell’affittante, consistente appunto nella messa a disposizione di un complesso di beni e rapporti giuridici organizzati per lo svolgimento di un’attività d’impresa.
Pertanto, i provvedimenti dei DPCM che hanno reso impossibile lo svolgimento dell’attività aziendale hanno fatto venir meno l’utilità funzionale che costituisce la principale prestazione contrattuale dell’affittante; divenendo quest’ultima impossibile, e divenendo al contempo impossibile per l’affittuario utilizzare l’azienda oggetto del contratto di affitto, ne consegue che, ai sensi del richiamato art. 1664 c.c., l’affittuario ha diritto ad una corrispondente riduzione del canone, e può anche recedere dal contratto di affitto qualora non abbia interesse all’adempimento parziale (come potrebbe verificarsi qualora la sospensione dell’attività dovesse malauguratamente protrarsi per lungo tempo).
In definitiva, dunque, in caso di affitto di azienda, l’affiliato che non possa esercitare la propria attività durante l’emergenza Coronavirus può legittimamente non corrispondere il canone di affitto, per tutto il periodo di chiusura dell’attività.
4. Le ricadute sui contratti di locazione commerciale
Più problematica invece la soluzione per i contratti di locazione commerciale. In questo caso, infatti, i divieti imposti dai DPCM non vengono a incidere sulla prestazione principale del locatore, ovvero la messa a disposizione di locali idonei all’uso consentito in base al contratto, in quanto non hanno alcuna attinenza all’immobile in cui si svolge l’attività, alle sue caratteristiche o alla sua idoneità all’uso pattuito. Tali divieti incidono, piuttosto, direttamente od indirettamente sull’attività svolta dal conduttore-affiliato, indipendentemente dalla prestazione del locatore.
Inoltre, la chiusura temporanea dell’attività non è tale da rendere impossibile la prestazione principale del conduttore-affiliato, consistente nel pagamento del canone di locazione.
Tuttavia, la giurisprudenza ha recentemente interpretato in termini più ampi la nozione di impossibilità, svincolandola dalle singole prestazioni dedotte in contratto.
In particolare, la Cassazione, nella sentenza n. 18047/2018, ha valorizzato, ai fini della qualificazione dell’impossibilità sopravvenuta, la causa del contratto, intesa come “causa in concreto”, cioè come lo scopo pratico del contratto, ha affermato che “l’impossibilità sopravvenuta della prestazione si ha non solo nel caso in cui sia divenuta impossibile l’esecuzione della prestazione del debitore, ma anche nel caso in cui sia divenuta impossibile l’utilizzazione della prestazione della controparte, quando tale impossibilità sia comunque non imputabile al creditore e il suo interesse a riceverla sia venuto meno, verificandosi in tal caso la sopravvenuta irrealizzabilità della finalità essenziale in cui consiste la causa concreta del contratto e la conseguente estinzione dell’obbligazione”.
In definitiva quindi, laddove un evento non prevedibile e non imputabile renda non più perseguibili le reali finalità che hanno motivato le parti a stipulare il contratto, si verifica un’impossibilità della prestazione, con conseguente applicazione della relativa disciplina.
Facendo applicazione di tale principio, ne deriva che, per effetto della sospensione dell’attività disposta dai DPCM, è venuta meno la possibilità del conduttore-affiliato di fruire della prestazione del locatore; e quindi, il conduttore potrà interrompere il pagamento dei canoni dovuti nel periodo di durata dei provvedimenti di sospensione della sua attività, limitatamente al periodo di durata della sospensione.
Tale soluzione risulta confermata dal menzionato art. 91, D.L. n. 18/2020, che in sostanza giustifica il mancato pagamento dei canoni di locazione per il periodo di obbligatoria chiusura delle attività commerciali.
In ogni caso, in alternativa, il conduttore-affiliato potrebbe recedere dal contratto (dando preavviso di 6 mesi), dato che la sospensione dell’attività prevista dai DPCM, in quanto estranea alla volontà del conduttore, imprevedibile e sopravvenuta alla conclusione del contratto, nonché tale da rendergli gravosa la sua prosecuzione, integra senz’altro i gravi motivi di cui all’art. 27 comma 8 L. n. 392/1978.
Tuttavia, questa strada è difficilmente percorribile, in quanto comporterebbe un inadempimento contrattuale nei confronti del franchisor, comportando la risoluzione del contratto di franchising e l’obbligo dell’affiliato di risarcire il danno. A meno che non si raggiunga un accordo con il franchisor per lo scioglimento consensuale del contratto di franchising.
Infine, il conduttore-affiliato potrà comunque usufruire del credito d’imposta previsto dall’art. 65 del DL n. 18/2020.
5. Le attività non sospese
Cosa possono fare gli affiliati i quali abbiano in affitto locali e la cui attività non sia stata sospesa – quali in particolare gli esercizi commerciali che rientrano nelle eccezioni alla sospensione generalizzata – e che abbiano quindi continuato a fruire dell’immobile, sia pure in circostanze che hanno inciso pesantemente sulla loro redditività’?
In questo caso, è più difficile affermare che sia venuta radicalmente meno la possibilità di fruire della prestazione del locatore; il conduttore-affiliato potrà, semmai, chiedere una riduzione del canone, invocando la difficoltà di applicare le misure relative al mantenimento delle distanze di sicurezza tra i clienti in relazione alle caratteristiche intrinseche dell’immobile.
Oppure, il conduttore potrà chiedere la rinegoziazione del contratto, invocando l’applicazione dell’art. 1467 c.c. sulla eccessiva onerosità sopravvenuta, qualora dimostri l’insostenibilità delle condizioni economiche del contratto per effetto dell’impatto significativo, strutturale e perdurante delle misure previste dai DPCM.
Infine, è probabile che sia consentito anche in questo caso al conduttore di recedere dal contratto (dando preavviso di 6 mesi), ai sensi dell’art. 27 comma 8 L. n. 392/1978, con gli stessi inconvenienti già indicati.
In ogni caso, è altamente consigliabile per gli affiliati – sia quelli la cui attività sia stata sospesa, sia quelli che abbiano comunque subìto una forte riduzione della redditività della loro attività – cercare di ottenere un accordo con il locatore, in modo da evitare un contenzioso che si presenterebbe comunque rischioso e di incerto esito, avvalendosi dell’ausilio di un legale esperto.
Sul tema, già pubblicati: Il DL “cura Italia” conferma che l’epidemia Coronavirus è causa di esonero da responsabilità; Emergenza Coronavirus: cosa possono fare gli affiliati in franchising?
Avv. Valerio Pandolfini
Per leggere ulteriori articoli di approfondimento, visitate il nostro blog.
Le informazioni contenute nel presente articolo hanno carattere generale e non sono da considerarsi un esame esaustivo né intendono esprimere un parere o fornire una consulenza di natura legale. Le considerazioni e opinioni di seguito riportate non prescindono dalla necessità di ottenere pareri specifici con riguardo alle singole fattispecie descritte. Di conseguenza, il presente articolo non costituisce un(né può essere altrimenti interpretato quale) parere legale, né può in alcun modo considerarsi come sostitutivo di una consulenza legale specifica.