Il business plan nel franchising: se i dati non sono “giusti”?
Come per ogni altra attività d’impresa, la pubblicità riveste molta importanza anche nel franchising. La pubblicità effettuata dai franchisors nei confronti dei potenziali affiliati è disciplinata dal D.lgs. n. 145/2007, che vieta la pubblicità ingannevole e comparativa illecita nei rapporti tra imprese (B2B). Uno degli strumenti pubblicitari più comunemente utilizzati è il business plan che viene molto spesso consegnato dal franchisor agli aspiranti affiliati per attrarli ad aderire a una rete in franchising. Se un business plan contiene dati erronei o falsi, è possibile agire in giudizio nei confronti del franchisor per ottenere l’annullamento del contratto e/o il risarcimento del danno. Ciò in particolare se l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha accertato che il business plan costituisce pubblicità ingannevole.
1. La pubblicità nel franchising
Come per ogni altra attività d’impresa, la pubblicità – sia essa effettuata secondo modalità tradizionali (off line) o tramite internet (on line) – riveste molta importanza anche nel franchising. In generale, la promozione pubblicitaria nel campo del franchising può avere due diversi destinatari:
- da una parte, i potenziali affiliati, che vengono attratti dal franchisor ad aderire alla rete in franchising;
- dall’altra, i clienti finali, destinatari dell’attività svolta dagli affiliati nell’ambito della rete in franchising.
Gli operatori pubblicitari, cioè i committenti del messaggio pubblicitario, possono quindi essere, a seconda dei casi, franchisors o franchisee.
La prima forma di pubblicità (diretta ai potenziali franchisee), è svolta solo dal franchisor. Il secondo tipo di pubblicità può essere invece svolta, oltre che dal franchisor, anche dai franchisee.
In questo secondo caso, la pubblicità viene generalmente effettuata comunque non in piena autonomia dai franchisee bensì dietro coordinamento e direzione del franchisor, per garantire l’esigenza di uniformità della rete in franchising e di tutela dell’immagine della rete stessa.
Come qualunque attività pubblicitaria, anche quella svolta nell’ambito del franchising è soggetta ad una complessa e variegata normativa, in gran parte di origine comunitaria, finalizzata ad assicurare il buon funzionamento del mercato e della concorrenza.
Le norme applicabili sono diverse a seconda che la pubblicità sia diretta ai potenziali affiliati o ai clienti finali.
Nel primo caso, poiché i (potenziali) franchisee sono considerati dal punto di vista giuridico come imprenditori (e non consumatori), trova applicazione il D.lgs. n. 145/2007, che vieta la pubblicità ingannevole e comparativa illecita nei rapporti tra imprese (B2B).
Qualora invece la pubblicità sia rivolta ai clienti finali, si applica il D.lgs. n. 206/2005 (Codice del Consumo), che disciplina le pratiche commerciali scorrette nei rapporti tra imprese e consumatori (B2C).
Accanto a tali discipline può inoltre trovare applicazione:
- la disciplina del Codice civile sulla responsabilità contrattuale e sulla concorrenza sleale, prevista agli 2598 e ss. c.c.;
- il Codice di Autodisciplina Pubblicitaria, che stabilisce le regole sulla pubblicità che devono essere rispettate dalle imprese.
2.Le regole generali sulla pubblicità nel franchising
L’art. 1°, 2° comma, del D.lgs 145/2007 prevede che in generale la pubblicità deve essere:
- palese
- veritiera
- corretta
Tali caratteristiche devono essere presenti nel messaggio pubblicitario fin dal primo contatto con il destinatario. Il messaggio pubblicitario infatti esaurisce la propria funzione nell’indurre il destinatario a rivolgersi al professionista.
La comunicazione d’impresa deve essere quindi chiara e completa fin dall’inizio, indipendentemente dal fatto che il destinatario possa apprendere ulteriori elementi successivamente, tramite rinvio ad altre fonti informative.
Ne consegue che nel franchising un messaggio pubblicitario ingannevole non è sanato dal fatto che successivamente, in sede di trattative, il potenziale franchisee riceva le informazioni pre-contrattuali ai sensi della L. n. 129/2004.
Se quindi ad esempio sono stati indicati, in un volantino, una brochure o un business plan, dati inesatti sulla rete in franchising (anzianità, numero di affiliati, costi di affiliazione, redditività dei punti vendita, etc.), l’ingannevolezza del messaggio non può essere “rimediata” successivamente, fornendo all’affiliato chiarimenti ed informazioni correttive, anche ai sensi della L. n. 129/2004.
Come è appunto accaduto nei casi MailBoxes (2012) ed Ecostore (2014), in cui l’AGCM ha sanzionato le società perché nelle comunicazioni commerciali non avevano informato che i dati di fatturato medio prospettati presupponevano che l’affiliato svolgesse determinate attività (nella specie: promozione e vendita, rapporti con corrieri convenzionati, acquisto di espositori di prodotti tramite corner), nonostante che tali aspetti venissero poi chiariti durante gli incontri con i potenziali affiliati prima della firma del contratto.
L’art. 2, lett. b), del D. lgs. n. 145/2007 vieta la pubblicità ingannevole, definita come “qualsiasi pubblicità che, in qualunque modo, compresa la sua presentazione, è idonea a indurre in errore le persone fisiche o giuridiche alle quali è rivolta o che essa raggiunge e che, a causa del suo carattere ingannevole, possa pregiudicare il loro comportamento economico, ovvero che, per questo motivo sia idonea a ledere un concorrente”.
E’ quindi ingannevole il messaggio pubblicitario che, in qualunque modo, compresa la sua presentazione (modo in cui il messaggio viene inserito nel giornale o sito web, ecc.), e indipendentemente dall’intento dell’operatore (cioè oggettivamente), sia idoneo a:
- indurre in errore i destinatari o coloro che raggiunge (quindi anche i concorrenti);
- pregiudicare il comportamento economico dei destinatari, anche solo potenzialmente (cioè indipendentemente dal fatto che il messaggio produca un danno).
3.Il business plan è uno strumento pubblicitario
Dal punto di vista giuridico, costituisce “pubblicità” qualsiasi messaggio, diffuso con qualunque mezzo e modalità, che sia finalizzato a promuovere una determinata attività imprenditoriale – cioè, in questo caso, l’adesione ad una rete in franchising (art. 2, comma 1 D.lgs. n. 145/2007).
Si tratta quindi di una nozione molto ampia di pubblicità, che prescinde dal mezzo attraverso il quale il messaggio pubblicitario venga diffuso, purché lo stesso sia finalizzato a promuovere una determinata attività imprenditoriale.
Rientrano quindi nell’ambito della pubblicità – soggetta alla relativa disciplina – non soltanto i messaggi pubblicitari in senso stretto, (slogans, volantini, brochure, banners etc.) ma anche i business plans.
Il business plan è molto spesso utilizzato nel franchising, soprattutto nella fase delle trattative, per illustrare i vantaggi di cui l’affiliato usufruisce entrando a far parte di una rete in franchising. Si tratta come è noto di previsioni circa la redditività della futura attività del franchisee, che, con varie modalità, il franchisor sottopone all’aspirante franchisee spontaneamente – in quanto non rientra tra le informazioni pre-contrattuali obbligatorie per legge – per invogliarlo ad entrare a far parte di una rete in franchising.
Nella prassi infatti molto spesso il franchisor, spontaneamente o su richiesta dell’aspirante affiliato, mostra o consegna a quest’ultimo un documento contenente una previsione circa i profitti che conseguiranno per effetto dell’adesione al suo network, alla luce dei costi che dovranno essere sostenuti.
Tali previsioni possono essere formulate nel modo più vario, con maggiore o minore grado di dettaglio, con maggiore o minore riferimento all’effettivo mercato nel quale opererà l’affiliato, etc. In ogni caso, è ovvio che quasi sempre il business plan contiene proiezioni positive ed incoraggianti circa i profitti dell’affiliato, in modo da influire positivamente sulla sua decisione.
4.Cosa accade se i dati del business plan “non tornano”?
Spesso si verifica nel corso del rapporto di franchising, uno scostamento più o meno rilevante tra i dati indicati nel business plan e i profitti effettivamente raggiunti dal franchisee.
Cosa accade in questi casi dal punto di vista legale?
Occorre subito evidenziare che dal punto di vista giuridico, non sorge automaticamente una responsabilità in capo al franchisor nei confronti del franchisee qualora quest’ultimo non consegua effettivamente i profitti che erano stati previsti nel business plan. Ciò in quanto il franchisee è considerato dal punto di vista legale un imprenditore autonomo che sopporta per intero il rischio d’impresa.
Dunque, in linea di massima, se nel business plan era indicato un determinato fatturato per l’affiliato, e questi (come spesso accade) non lo raggiunge, il franchisor non ne risponde nei confronti dell’affiliato; ciò anche perché il mancato raggiungimento di un determinato obiettivo economico può dipendere da molte variabili, quali ad esempio situazioni oggettive di mercato, capacità soggettive del franchisee stesso, etc.
Tuttavia, se il business plan consegnato al franchisee contiene dati o informazioni inesatte, incomplete o addirittura false, e il franchisee vi abbia fatto affidamento nel corso delle trattative – essendosi convinto a sottoscrivere il contratto e ad affiliarsi ad una determinata rete in franchising anche e soprattutto per i dati contenuti nel business plan – il franchisee può ottenere l’annullamento del contratto di franchising per dolo o errore, con conseguente diritto all’annullamento del contratto e/o al risarcimento del danno.
Occorrerà tuttavia a tal fine dimostrare – cosa per niente agevole – che il business plan era stato il motivo determinante o comunque molto rilevante che aveva spinto il franchisee a sottoscrivere il contratto, e che i risultati negativi conseguiti dal franchisee nel corso del rapporto derivano appunto dalla falsità o erroneità dei dati contenuti nel business plan, e non da altri motivi.
Sotto un altro profilo, Un business plan che contenga affermazioni non veritiere, o comunque la cui veridicità non è non dimostrabile in modo oggettivo, circa i possibili profitti derivanti dall’affiliazione commerciale, potrebbe quindi essere considerato pubblicità ingannevole, e quindi può esporre il franchisor a sanzioni pecuniarie anche elevate, da parte dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM).
Ed infatti, già in numerosi casi l’AGCM ha comminato sanzioni a vari franchisors per avere generato con messaggi pubblicitari ingannevoli di vario tipo false aspettative in capo agli aspiranti affiliati circa i risultati economici realizzabili attraverso l’affiliazione, ad es. prospettando guadagni “certi” quando invece gli stessi erano in realtà altamente incerti, in quanto dipendevano dalle più diverse variabili.
Ad esempio, nel caso KiPoint (2010), Kipoint era un’iniziativa commerciale di Posteshop che offriva ad aspiranti imprenditori la possibilità di aprire un punto “Kipoint” ed operare come centro servizi per spedizioni nazionali ed internazionali. KI Point aveva diffuso messaggi mediante materiale pubblicitario di vario genere per promuovere la rete in franchising, nei quali tra l’altro:
- si quantificava il fatturato medio annuo realizzabile “a regime” dai punti vendita Kipoint in una cifra pari a 200.000 Euro;
- si presentava la rete Kipoint come una rete “solida e in grande crescita”.
L’AGCM ha ritenuto i messaggi ingannevoli perché era stato provato che, contrariamente a quanto pubblicizzato, nel periodo di riferimento il trend era quello di chiusure in crescita e nuove aperture in calo; inoltre la c.d. ‘media” di fatturato era stata raggiunta, solo da ¼ degli affiliati, mentre gli altri avevano registrato fatturati inferiori anche di molto rispetto a tale media, ed ha irrogato al franchisor una sanzione di Euro 100.000.
A prescindere dalle sanzioni pecuniarie irrogate dall’AGCM – che non vanno direttamente a beneficio degli affiliati – i provvedimenti dell’Autorità che accerti la pubblicità ingannevole di un business plan sono importanti per gli affiliati, in quanto questi ultimi possono, sulla base di tale provvedimento, ricorrere davanti al Giudice ordinario, per chiedere il risarcimento del danno.
Un provvedimento dell’AGCM che accerta la natura ingannevole di un messaggio pubblicitario costituisce infatti un grave indizio nel giudizio davanti al Giudice ordinario circa la responsabilità del franchisor (per dolo o errore), e può quindi essere utilizzata per ottenere il risarcimento del danno.
Avv. Valerio Pandolfini
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